Luglio 2000. Domenica mattina. Devo spedire un telegramma. Dove andare di domenica? AI mio paese, che è piccolo, l’ufficio postale è chiuso di domenica, ma a Lodi, che è città capoluogo di provincia, spero che questo servizio ci sia. Un telegramma è un messaggio postale assolutamente diverso da tutti gli altri tipi ( lettere, cartoline, pacchi, giornali, ecc.) che possono aspettare benissimo il lunedì mattina!.

Prendo la bicicletta (con la bici a Lodi si va dappertutto!) e faccio la prima tappa alle Poste nuove in via Fascetti. Tutto è chiuso, con le cancellate addirittura sulle porte. Giro intorno al fabbricato. Tutto è chiuso. Non c’è nemmeno un campanello cui suonare 0 un citofono per chiedere un’informazione a un guardiano. Potrei essere un ladro, coi valori che una Posta contiene, se fossi capace di fare il ladro. Il Palazzo sembra un carcere. Forse è aperto uno sportello in centro, più vicino alla gente, penso.

Prendo la bicicletta e vado in via Volturno, angolo di corso Umberto, dove i telegrammi una volta, quando le Poste principali erano in centro città, si facevano anche di domenica. Tutto è chiuso. Tra la gente del vicino mercato e poi in Piazza della Vittoria cerco un vigile per chiedere se a Lodi di domenica mattina è possibile fare un telegramma. “Non so risponderle” mi risponde il primo che trovo.

Risalgo in bicicletta, diretto in corso Roma. AI primo conoscente che incontro tra tanta gente che passeggia apparentemente senza problemi e col solo scopo di tirare mezzogiorno chiaccherando con chi incontra, accenno al mio problema.

Basta fare il 186!

‘Non si va più alla Posta, oggi, per fare un telegramma!” – mi rimprovera con la sicurezza del tuttologo – “Basta fare il 186!” indicandomi il telefonino che porta alla cinta come una pistola. Chiudo il giro e in bicicletta ritorno al mio paese per risolvere il mio problema dal telefono di casa (non ho il telefonino) col 186. O meglio, incominciando a fare il 186.

Perché per tutta la domenica riproverò almeno una decina di volte. Con lo stesso risultato. Questo: “Benvenuto al servizio 186 di Poste Italiane” mi risponde cortesemente una delicata voce femminile con gradevole accompagnamento musicale per violino e clavicembalo di Vivaldi. ” Se dispone di un telefono a tastiera digiti 1, altrimenti resti in attesa”, Digito 1. La voce delicata femminile mi dà la successiva istruzione: “Se desidera dettare un telegramma digiti 1° e prosegue con altri numeri se desidero fare altre operazioni.

Digito di nuovo 1. “La preghiamo di attendere in linea. Le risponderà il primo operatore disponibile.” Attendo in linea, ma al posto del primo operatore disponibile arriva, con frequenza costante, la delicata voce femminile che mi avverte di attendere, scusandosi di farmi attendere. Ma per tutta la giornata di domenica il mio turno non arriverà mai.

Fa tutto in automatico la macchina!

Aspetto così il giorno dopo, lunedì… di luglio. Alle 8.30 sono già allo sportello “Telegrammi” presso le poste nuove di Lodi, in via Fascetti, ma non c’è nessuno a scrivere.

Al contrario in “Direzione” sono in tre intorno a una scrivania. Attendo.

Finalmente arriva un impiegato che mi allunga il modulo su cui scrivere il testo del telegramma e poi se ne va perché deve servire anche altri sportelli. Quando ritorna, gli chiedo curioso se mi può dare un’idea circa la spesa “per parola” cui vado incontro, visto che è per l’estero e all’estero non ho mai inviato telegrammi. “Non glielo so dire. Fa tutto in automatico la macchina!”- mi risponde. Gli allungo il telegramma che appoggia sul leggio della “macchina” prima di allontanarsi di nuovo verso altri sportelli. Aspetto di muovo che ritorni. “Occorre pazienza”, sorride una signora che nel frattempo è arrivata a farmi compagnia in coda allo sportello “Telegrammi”.

“Pazienza e calma !” diciamo entrambi a un terzo cliente, un anziano focoso che in un dialetto meridionale molto stretto di cui sì capisce la richiesta globale, ma non la parola singola, s’impone sbraitando all’attenzione dell’impiegato, quando ritorna, perché assolutamente vuole sapere come mai non gli è ancora arrivato il telegramma che gli hanno inviato ieri, domenica, dal suo paese del Sud. “Le arriverà, è appena lunedì mattina, aspetti a casa il postino, verrà a lamentarsi se mai dopo!”. “Ma al Sud è possibile fare un telegramma anche di domenica?” aggiungo io rivolto all’impiegato, mentre s’appresta a battere finalmente il mio telegramma sulla tastiera della “macchina” ad una velocità e con una sicurezza …che sembra la mia!. Non mi risponde.

Lo incalzo con un’ altra curiosità: “Vedo che è da solo a servire in questo Salone degli sportelli. Gli altri sono ii ferie? Ma non vi programmate per assicurare in periodi come questi, turni più funzionali di presenze?

“Non deve fare a me questa domanda! ” mi risponde tra l’indispettito, l’insofferente e lo scoglionato. E’ un problema che pesa evidentemente anche a lui, ma che non ha soluzione alle Poste di Lodi, come altrove nel “Pubblico”, dove “servire” sembra un optional.

Dopo il controllo del testo, la correzione e l’ok a spedirlo, “Quant’è?” chiedo. “E’ riportato in calce alla copia che le ho consegnato. Sono 37400 lire”. Pago perché i soldi li ho e l’impiegato ha il tempo di prenderli, ma mi tolgo un’ altra soddisfazione. “Non mi poteva suggerire prima che la spesa era di circa 1000 lire a parola, con tutti i telegrammi che fa ogni giorno e con la sensibilità ricevuta da una vita in Posta?”.

“No!” e accompagna il suono secco di questa sua risposta con l’altro secco del librone delle tariffe che raccoglie da un piano sotto la “macchina” dei telegrammi e che getta sul tavolo.

“Dovrei sapere tutto quello che c’è qui dentro, perchè ogni località ha il suo prezzo!”

È inutile continuare. Mi basta essere riuscito ad inviare il telegramma che dovevo in poco più di un’ora, alle poste di Lodi, in un lunedì mattina di luglio 2000. Sorrido però nel pensare a quali attori ho incontrato e al nuovo episodio vissuto sul palcoscenico de “La vita è una commedia!”